Cos’è il sarcoma di Kaposi?

Da alcuni esperti non più considerato un sarcoma, è di fatto un tumore raro: si manifesta con macchie rosso-violacee e lesioni a livello di cute, mucose e alcuni organi interni, e ha inizio dalle cellule che ricoprono l’interno dei vasi sanguigni o linfatici (le cosiddette “cellule endoteliali”). Il nome deriva dal suo scopritore, il medico e dermatologo ungherese Moritz Kaposi (lo stesso che per primo ha descritto il lupus) che ne parlò nel 1872 in un articolo tedesco dal titolo: Sarcoma multipigmentato e idiopatico della pelle. La causa di questo tipo di sarcoma è un herpes virus – l’Herpes virus umano 8 (HHV-8) – conosciuto anche come Herpes virus associato al sarcoma di Kaposi (KSHV). In Italia si registrano 900-1.000 nuovi casi all’anno: circa 600 negli uomini e 300 nelle donne. L’incidenza aumenta con il crescere dell’età ed è più alta nel sud del Paese e nelle isole, con un picco in Sardegna, nella zona di Sassari, dove è più frequente il virus che lo causa – un dato che potrebbe suggerire l’associazione fra fattori genetici predisponesti e particolari condizioni ambientali. Negli anni novanta del secolo scorso si era inoltre manifestato un temporaneo aumento della sua incidenza nel nostro Paese, associato al diffondersi dell’infezione da virus HIV (causa dell’AIDS) fra la popolazione maschile adulta.


Dove si manifesta?

A livello di epidermide (cute, pelle), mucose e alcuni organi interni. Il sarcoma o tumore di Kaposi trae origine nelle cellule che rivestono l’interno dei vasi sanguigni o dei canali linfatici (le cosiddette “cellule endoteliali”). È generalmente associato a: – infezioni (come l’HIV) che minano la capacità del sistema immunitario di reagire alle infezioni (variante “epidemica”); – a zone geografiche mediterranee, ad esempio, gli anziani della Sardegna o dell’Europa dell’Est (variante “classica” o mediterranea); – a situazioni endemiche che riguardano, ad esempio, le popolazioni dell’Africa equatoriale dove l’HIV è particolarmente diffusa nei maschi sotto i 40 anni (variante “endemica”); – a pazienti sottoposti a trapianto di organi, che assumono farmaci per evitare il rigetto dell’organo abbassando allo stesso tempo le naturali difese immunitarie dell’organismo (variante “iatrogena”).


Quali sono i sintomi?

Il primo segno identificativo del sarcoma o tumore di Kaposi consiste in macchie rosso-violacee e/o lesioni rossastre, linfonodi e/o noduli che si possono manifestare in diverse parti del corpo. Nella popolazione maschile adulta sono colpiti gli arti inferiori e le dita dei piedi, mentre nella variante epidemica le macchie e le lesioni compaiono prima nella parte alta del corpo e sulle mucose. Spesso privo di sintomi, si manifesta talvolta con prurito, anche intenso, e dolore. Quando il sarcoma o tumore colpisce gli organi interni, i sintomi possono essere molteplici: sanguinamento con conseguente anemia; se localizzato nei polmoni, difficoltà a respirare, fiato corto o tosse persistente; se a livello gastrointestinale, difficoltà a nutrirsi e ad assorbire i nutrienti.


Come si arriva alla diagnosi?

In presenza di sintomi sospetti, il medico porrà una serie di domande per accertare lo stato di salute generale della persona e la sua storia clinica: eventuali malattie, precedenti operazioni chirurgiche, abitudini sessuali e tutto ciò che può aver esposto la persona al rischio di contrarre l’infezione da virus HHV-8 o HIV, ma solo la biopsia potrà confermare con assoluta certezza la diagnosi di sarcoma o tumore di Kaposi, dopo l’esame al microscopio del campione di tessuto prelevato. Potranno essere effettuati anche ulteriori esami di diagnostica attraverso immagini (imaging): una TAC (Tomografia computerizzata) con mezzo di contrasto, o una radiografia del torace, ed eventualmente anche una broncoscopia, nel caso il medico sospetti un sarcoma al polmone; un’endoscopia gastrointestinale (un esame che utilizza telecamere grandi quanto una pillola, da deglutire temporaneamente) per verificare la presenza di un sarcoma nel tratto digestivo e nell’intestino.


Dove posso curarmi?

In uno dei centri specializzati che in Italia e in Europa operano in rete, dove i medici e i professionisti sanitari coniugano l’esperienza altamente specialistica sul campo e la ricerca, con un approccio multidisciplinare alla malattia.


Quali sono i principali trattamenti?

In presenza di un sarcoma o tumore di Kaposi, come avviene per la maggior parte dei tumori, la scelta del trattamento più adatto dipende da diversi fattori: lo stadio di sviluppo della malattia e la sua sede, l’età e le condizioni generali della persona, lo stato del suo sistema immunitario, i risultati delle analisi e degli esami effettuati. In generale, vanno subito gestite le carenze del sistema immunitario e le infezioni in corso. In alcuni casi, le terapie antiretrovirali seguite per tenere sotto controllo il virus HIV (causa dell’AIDS) rappresentano un trattamento efficace anche per il sarcoma o tumore di Kaposi, mentre nel caso di persone che hanno affrontato un trapianto può aiutare diminuire o modificare i farmaci anti-rigetto. Se in presenza di piccole, scarse lesioni o macchie possono essere prescritte terapie locali: – la criochirurgia, che le distrugge congelandole con l’applicazione diretta di azoto liquido; – la chemioterapia intralesionale, con l’iniezione di una piccole dose di farmaco chemioterapico direttamente nella lesione; – il trattamento fotodinamico con uno speciale farmaco che si deposita nelle cellule tumorali e attivandosi tramite la luce, le distrugge. La cura principale per trattare il sarcoma o tumore di Kaposi resta la radioterapia, in particolare se la malattia è presente in aree limitate, e con lesioni interne. La chirurgia è utilizzata solo nel caso di lesioni piccole e circoscritte. La chemioterapia sistemica tramite antracicline (utilizzate anche per altri tipi di sarcoma, e in presenza di linfomi, tumori al seno etc.) è invece in grado di interessare diverse aree del corpo e si è rivelata efficace solo nel caso di una diffusione più ampia; generalmente i trattamenti sono ciclici, a intervalli regolari, per consentire al sistema immunitario già fortemente debilitato di riprendersi.


Chi decide qual è il trattamento migliore?

La decisione e la strategia terapeutica vanno prese, proprio in considerazione della complessità della malattia, da un gruppo di esperti, un team multidisciplinare composto da: oncologo medico specializzato nella cura dei sarcomi, virologo specialista dell’HIV, chirurgo plastico, radioterapista, infermiere specializzato, psicologo, sempre con il coinvolgimento della persona nell’intero processo decisionale. Il paziente può essere eventualmente incluso in una sperimentazione clinica, e quindi può avere bisogno di più informazioni e approfondimenti da parte del team clinico.


Ci sono altri trattamenti possibili?

Tra i trattamenti più recenti ci sono i cosiddetti farmaci biologici – “immunomodulanti” (con interferone) che aiutano il sistema immunitario ad attaccare le cellule del tumore, o farmaci “intelligenti” (o a bersaglio) che riconoscono come bersaglio da colpire solo le molecole presenti nel virus HHV-8 senza toccare le cellule sane. Non vanno poi dimenticati i positivi risultati terapeutici che produce l’utilizzo di farmaci “antiangiogenici”, ovvero quei farmaci in grado di bloccare la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono il sarcoma (chiamati con il termine tecnico “inibitori di chinasi”) già in uso per il trattamento di altri tipi di sarcoma e tumore. Sono inoltre in fase di studio alcuni vaccini (perché ad oggi non esiste alcun vaccino efficace contro il sarcoma o tumore di Kaposi) e nuove combinazioni di farmaci antiretrovirali altamente attivi (HAART).


Quali sono i principali effetti collaterali dei trattamenti?

Il team clinico multidisciplinare che affronta con la persona il percorso di cura farà in modo di illustrare tutti i possibili effetti collaterali, facendo chiarezza fra i timori giustificati del paziente e cosa può essere oggi fatto per prevenirli e controllarli. I timori legati agli effetti collaterali più ricorrenti, che la persona con sarcoma vive prima e durante il trattamento, sia chirurgico sia farmacologico, sono: la perdita del controllo, non conoscere cosa verrà dopo, il non poter svolgere le normali attività quotidiane, eventuali conseguenze sulle relazioni familiari, sulla vita sessuale, sulla fertilità. Effetti legati alla chemio: nausea, stanchezza, dolore, ansia, perdita dei capelli, gonfiore e ritenzione idrica; o alla radioterapia: arrossamento, bruciore e oscuramento della pelle; o ancora all’utilizzo di interferone: brividi, perdita di appetito, affaticamento o mal di testa, possono essere gestiti con l’aiuto di farmaci specifici e i consigli del team clinico. In ogni caso è fondamentale parlare sempre dei propri timori e disagi con il team clinico, e condividerli con i propri familiari e amici, cercando conforto e consigli utili anche nelle associazioni dei pazienti che hanno affrontato un percorso terapeutico simile.


Quale prognosi posso aspettarmi?

La prognosi varia da persona a persona e dipende da molteplici fattori: l’età e il quadro clinico generale del paziente, la variante o tipo di sarcoma, le sedi colpite e il grado di aggressività (indice di una sua “vivacità” biologica) del sarcoma, la sua evoluzione e diffusione, l’esito delle terapie. Un fattore significativo è la presenza o meno di AIDS. L’indice di sopravvivenza della variante “classica”, tipica dei pazienti anziani in alcune aree mediterranee, è di oltre 10 anni dalla diagnosi.


Come sarà il ritorno alla vita quotidiana?

È importante che la persona colpita da sarcoma o tumore di Kaposi mantenga costantemente attiva la sua rete di relazioni e interessi. La motivazione, la forza di volontà individuale e l’aiuto di familiari e amici giocano un ruolo importantissimo sia durante i cicli di cura che nella fase del post trattamento. Una volta rientrata nella normale vita quotidiana, la persona dovrà rispettare sempre, o essere aiutata a farlo, gli appuntamenti con lo staff medico per i controlli e gli esami periodici, per rilevare tempestivamente eventuali recidive della malattia. Può essere necessario un supporto psicologico, se la persona e i familiari ne avvertono il bisogno.

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