Prendere parte a uno studio clinico non significa “fare da cavia” per lo sviluppo di un nuovo farmaco. Tutt’altro: partecipare a uno studio clinico può significare poter godere di potenziali benefici e contribuire al progresso della scienza in un contesto in cui i partecipanti sono fortemente protetti.

La ricerca clinica è infatti strettamente regolata da codici legali ed etici che proteggono tutti i volontari che partecipano a uno studio. A cominciare dal protocollo dello studio, cioè la spiegazione dettagliata di come la sperimentazione sarà condotta. Nessuno studio clinico può includere pazienti se il protocollo non è stato approvato dalle autorità competenti e dal Comitato Etico, un gruppo di scienziati, operatori sanitari (medici, infermieri, ecc…) e semplici cittadini non legati in alcun modo al gruppo di ricerca che ha richiesto l’approvazione. Il comitato etico ha il compito di garantire che lo studio sia stato disegnato appropriatamente e nel rispetto dei partecipanti. Prima di decidere se partecipare o meno, inoltre, ai volontari vengono fornite tutte le informazioni sullo studio per iscritto tramite il cosiddetto consenso informato. Conoscere il protocollo permette ai volontari di sapere che cosa aspettarsi, passaggio dopo passaggio, dallo studio. In più, una volta firmato, il consenso informato espresso dai partecipanti vincola i ricercatori a seguirlo fedelmente.


Tra gli obblighi dei promotori dello studio c’è anche il vincolo del rispetto della privacy dei partecipanti: i loro dati rimarranno segreti e non possono essere riferiti nel report dello studio clinico. Lo sponsor dello studio clinico deve poi fornire un’assicurazione ai pazienti in caso di eventi avversi. Gli studi clinici prevedono infine due clausole di garanzia estreme. I partecipanti possono sempre decidere di interrompere la loro partecipazione. Inoltre, i ricercatori devono riportare periodicamente i risultati mentre lo studio è ancora in corso e devono interromperlo se uno dei due gruppi mostra un beneficio significativo poiché se uno dei due trattamenti è palesemente più efficace dell’altro non è etico continuare a somministrare un trattamento peggiore a una parte dei pazienti.

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